giovedì 22 marzo 2012
Changin’ (Prima parte)
Cosa accomuna una giovane famiglia dello sperduto quartiere di Acacia Ridge nel profondo sud di Brisbane, una fabbrica che produce sistemi di archiviazione su binari a ridosso di un parco di nome Hyde, che dell’omonimo inglese non ha nemmeno l’erba e una pizzeria con foto di Totti e Valentino Rossi alle pareti e una pizza che dell’omonima italiana non ha veramente nulla? Me!
Quante cose sono cambiate in una settimana: intanto ho fatto un doveroso upgrade dell’hardware regalando tanti soldi, veramente tanti che quasi me ne imbarazzo, alla memoria di Steve Jobs in cambio di una tavoletta. Poi ho lasciato l’ostello al proprio destino assieme alla sua ciurma di europei derelitti per trasferirmi, sotto consiglio di un amico, in una tana gentilmente offerta da una giovane famiglia indiana in cambio di appena 100 dollari la settimana. Non c’è molto, solo un materasso matrimoniale macchiato e
bucato, una moquette che pare uscita da I Robinson, una scrivania che ai tempi de i Robinson era già da buttare, un ventilatore e una finestra che da su un prato con erba pericolosamente alta. Ci sono anche ben due prese di corrente, ovvero due più di quelle che avevo a disposizione in ostello.
L’esordio non è stato il massimo. Appena arrivato, dopo un viaggio di un paio d’ore con tutti i bagagli in spalla, mentre l’indiano proprietario di casa mi illustra i vari spazi, vengo colto da un improvviso e veramente impegnativo attacco di diarrea.
E proprio mentre mi sta mostrando per la quarta volta come ruotare la maniglia della porta di casa, chiedo con nonchalance da che parte si trova il bagno, sperando che la cera cadaverica e le gocce di sudore sul viso non tradiscano le mie intenzioni.
Lui è deciso a finire il giro, illustrandomi orgogliosamente l’angolo in cui è riposta l’aspirapolvere, mi spiega come si usa un’aspirapolvere, come funziona un ventilatore, cosa si può e non si può fare sulla moquette, come aprire la finestra, mentre io sono a ridosso di una crisi al cui confronto la Brilzkrieg Bop era una scaramuccia di quartiere. Finalmente mi lascia libero, inforco il bagno, mi asserraglio chiudendo la serratura da autodidatta e faccio quello che devo abbinando nomi di santi ad animali, conscio che per loro la vacca è entrambi.
Pulisco sentendomi un po’ in imbarazzo e quando provo ad aprire la finestra cercando di tirare una maniglia che non c’è. Provo a spingere, a ruotare, a inclinare. Niente. Il bagno non ha un solo che permette di avere un ricambio d’aria con l’esterno.
Attimi di panico, ma poi ripenso a quella volta in Irlanda, nella casa della vecchia megera: venivo da quasi una settimana di stitichezza (succede sempre così in viaggio), arriviamo in questo B&B, prendo la via del bagno, mi siedo e trovo ad altezza occhi la scritta “per chi crede in Dio tutto è possibile”. Tiro una bestemmia per attestare la mia fede nell’esistenza del Signore, l’intestino si sblocca, la finestra non c’è ma prendo lo spray profumato e lo consumo interamente in quell’irlandese sgabuzzino con tazza. Tutto risolto.
Questa volta mi guardo attorno ma scopro che gli Indiani in Australia non credono nello spray profumato e nemmeno nelle ventole. Resta una sola cosa da fare, chiudere la porta e sperare che nessuno debba entrare.
Appena chiusa dietro di me la porta della camera sento la porta del bagno aprirsi e qualcuno gridare “What a smell!!!!!!!!!!”. Capita.
Alla fine ho scoperto come fanno a eliminare gli odori: usano l’aspirapolvere. Basta lasciarla andare per appena 25 minuti nella zona interessata e la puzza sparisce.
Prima parte di un post che si sta rivelando lungo. Facciamo che finisce qua.
Stay tuned
PS: mentre giravo per casa per scattare le foto, ho trovato del rassicurante veleno per topi fuori dalle porte delle camere.
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com'è, come non è, si finisce sempre a parlar di merda
RispondiEliminase questa è la prima parte, mi chiedo, la seconda?
RispondiEliminacomunque stavolta la tragicommedia rendeva anche senza foto
se questa è la prima parte, mi chiedo, la seconda?
RispondiEliminacomunque stavolta la tragicommedia rendeva anche senza foto, mamma